Umanesimo esistenzialista
È una forma di umanesimo filosofico.
Immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, il panorama culturale francese è dominato dalla figura di Sartre e dalla corrente di pensiero, l'esistenzialismo, che ha contribuito a diffondere attraverso la sua opera di filosofo e di romanziere, e attraverso il suo engagement, il suo impegno politico-culturale. La formazione filosofica di Sartre si compie negli anni Trenta in Germania ed è influenzata soprattutto dalla scuola fenomenologica di Husserl e di Heidegger. Nel nuovo clima politico del dopoguerra e nel confronto con il marxismo e con l'umanesimo cristiano, Sartre si è sforzato di elaborare gli aspetti etico-politici del suo esistenzialismo, riqualificandolo come dottrina umanista, fondata sull'impegno e sull'assunzione di responsabilità storiche, attiva nella denuncia di tutte le forme di oppressione e di alienazione. È appunto con questa intenzione che Sartre ha scritto nel 1946 L'esistenzialismo è un umanismo. Il saggio è una versione lievemente modificata del testo della conferenza che aveva tenuto, sullo stesso tema, al Club Maintenant di Parigi.
Sartre presenta e sostiene la tesi secondo cui l'esistenzialismo è un umanesimo in questi termini: “Molti potranno meravigliarsi che qui si parli di umanismo. Vedremo in qual senso l'intendiamo. In ogni caso possiamo dire subito che intendiamo per esistenzialismo una dottrina che rende possibile la vita umana e che, d'altra parte, dichiara che ogni verità e ogni azione implicano sia un ambiente, sia una soggettività umana. [...] Il nostro punto di partenza è in effetti la soggettività dell'individuo, e questo per ragioni strettamente filosofiche. [...] Non vi può essere, all'inizio, altra verità che questa: 'io penso, dunque sono'. Questa è la verità assoluta della coscienza che coglie se stessa. Ogni teoria che considera l'uomo fuori dal momento nel quale egli raggiunge se stesso è, anzitutto, una teoria che sopprime la verità, perché, fuori del 'cogito' cartesiano, tutti gli oggetti sono soltanto probabili; ed una dottrina di probabilità, che non sia sostenuta da una verità, affonda nel nulla. Per definire il probabile, bisogna possedere il vero. Dunque, perché ci sia una qualunque verità, occorre una verità assoluta; e questa è semplice, facile a raggiungersi, può essere compresa da tutti e consiste nel cogliere se stessi senza intermediario. E poi, questa teoria è la sola che dia una dignità all'uomo, è la sola che non faccia di lui un oggetto”. Ma diversamente da quanto avviene nella filosofia cartesiana, per Sartre l'“io penso” rimanda direttamente al mondo, agli altri; la coscienza nella sua intenzionalità è sempre coscienza di qualcosa. Sartre prosegue: “In questo modo l'uomo, che coglie se stesso direttamente col 'cogito', scopre anche tutti gli altri, e li scopre come la condizione della propria esistenza. Egli si rende conto che non può essere niente [...] se gli altri non lo riconoscono come tale. Per ottenere una verità qualunque sul mio conto, bisogna che la ricavi tramite l'altro. L'altro è indispensabile alla mia esistenza, così come alla conoscenza che io ho di me. In queste condizioni, la scoperta della mia intimità mi rivela, nello stesso tempo, l'altro come una libertà posta di fronte a me, la quale pensa e vuole soltanto per me o contro di me. Così scopriamo subito un mondo che chiameremo l'intersoggettività, ed è in questo mondo che l'uomo decide di ciò che egli è e di ciò che sono gli altri”.
Dopo questa premessa metodologica, Sartre definisce che cosa sia l'uomo per l'esistenzialismo. Tutti gli esistenzialisti, di diversa estrazione, cristiana o atea, compreso Heidegger, secondo Sartre concordano su un punto: nell'essere umano l'esistenza precede l'essenza. Per chiarire l'argomento, Sartre ricorre a questo esempio: “Quando si considera un oggetto fabbricato, come, ad esempio, un libro o un tagliacarte, si sa che tale oggetto è opera di un artigiano che si è ispirato ad un concetto. L'artigiano si è ispirato al concetto di tagliacarte e, allo stesso tempo, ad una preliminare tecnica di produzione, che fa parte del concetto stesso e che è in fondo una 'ricetta'. Quindi il tagliacarte è da un lato un oggetto che si fabbrica in una determinata maniera e dall'altro qualcosa che ha un'utilità ben definita [...] Diremo dunque, per quanto riguarda il tagliacarte, che l'essenza – cioè l'insieme delle conoscenze tecniche e delle qualità che ne permettono la fabbricazione e la definizione – precede l'esistenza [...]”. Nella religione cristiana, sulla quale si è formato il pensiero europeo, il Dio creatore “è concepito in sostanza alla stregua di un artigiano supremo [...] e Dio crea l'uomo [...] ispirandosi ad una determinata concezione, così come l'artigiano che produce il tagliacarte. [...] Nel secolo XVIII, con i filosofi atei, la nozione di Dio viene eliminata, non così però l'idea che l'essenza preceda l'esistenza. [...] Questa natura, cioè il concetto di uomo, si trova presso tutti gli uomini, il che significa che ogni uomo è un esempio particolare di un concetto universale: l'uomo. [...] L'esistenzialismo ateo, che io rappresento”, prosegue Sartre, “è più coerente. Se Dio non esiste, esso afferma, c'è almeno un essere in cui l'esistenza precede l'essenza, un essere che esiste prima di poter essere definito da alcun concetto: quest'essere è l'uomo, o, come dice Heidegger, la realtà umana. Che significa in questo caso che l'esistenza precede l'essenza? Significa che l'uomo esiste innanzi tutto, si trova, sorge nel mondo, e che si definisce dopo. L'uomo, secondo la concezione esistenzialistica, non è definibile in quanto all'inizio non è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto”. E più avanti Sartre precisa: “L'uomo non è altro che ciò che si fa. Questo è il principio primo dell'esistenzialismo. Ed è anche quello che si chiama la soggettività e che ci viene rimproverata con questo stesso termine. Ma che cosa vogliamo dire noi, con questo, se non che l'uomo ha una dignità più grande che non la pietra o il tavolo? Perché noi vogliamo dire che l'uomo in primo luogo esiste, ossia che egli è in primo luogo ciò che si slancia verso un avvenire e ciò che ha coscienza di progettarsi verso l'avvenire. L'uomo è, dapprima, un progetto che vive se stesso soggettivamente [...]; niente esiste prima di questo progetto; [...] l'uomo sarà anzitutto quello che avrà progettato di essere”.
Quindi, per Sartre, si tratta di dedurre coerentemente tutte le possibili conseguenze dal fatto che Dio non esiste. L'uomo costruisce, nell'esistenza, la propria essenza in un primo momento come progetto e poi attraverso le sue azioni. Ma in questo processo di autocostruzione, l'uomo non ha a disposizione regole morali che lo possano guidare. Riferendosi a uno degli ispiratori dell'esistenzialismo, Dostoevskij, Sartre dice: “Dostoevskij ha scritto: 'Se Dio non esiste tutto è permesso'. Ecco il punto di partenza dell'esistenzialismo. [...] Se, d'altro canto, Dio non esiste, non troviamo davanti a noi dei valori o degli ordini che possano legittimare la nostra condotta. Così non abbiamo né dietro di noi né davanti a noi, nel luminoso regno dei valori, giustificazioni o scuse. Siamo soli, senza scuse. Situazione che mi pare di poter caratterizzare dicendo che l'uomo è condannato a essere libero. Condannato perché non si è creato da solo, e ciò non di meno libero perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto quanto fa. [...] L'uomo, senza appoggio né aiuto, è condannato in ogni momento a inventare l'uomo [...]. Quando diciamo che l'uomo si sceglie, intendiamo che ciascuno di noi si sceglie, ma, con questo, vogliamo anche dire che ciascuno di noi, scegliendosi, sceglie per tutti gli uomini. Infatti, non c'è uno solo dei nostri atti che, creando l'uomo che vogliamo essere, non crei nello stesso tempo una immagine dell'uomo quale noi giudichiamo debba essere. Scegliere d'essere questo piuttosto che quello è affermare, nello stesso tempo, il valore della nostra scelta, giacché non possiamo mai scegliere il male; ciò che scegliamo è sempre il bene e nulla può essere bene per noi senza esserlo per tutti”.
Su queste basi Sartre costruisce la sua etica della libertà: “Quando su un piano di totale autenticità, io ho riconosciuto che l'uomo è un essere nel quale l'essenza è preceduta dall'esistenza, che è un essere libero il quale non può che volere, in circostanze diverse, la propria libertà, ho riconosciuto nello stesso tempo che io non posso volere che la libertà degli altri”. L'etica di Sartre non si basa sull'oggetto scelto ma sull'autenticità della scelta. L'azione non è necessariamente gratuita, assurda o infondata. In effetti, è possibile dare un giudizio morale anche se non esiste una morale definitiva e ognuno è libero di costruire la propria morale nella situazione in cui vive, scegliendo tra le diverse possibilità che gli vengono offerte. Questo giudizio morale si fonda sul riconoscimento della libertà (propria e degli altri) e della malafede. Vediamo come la spiega Sartre: “Si può giudicare un uomo dicendo che è in malafede. Se abbiamo definito la condizione dell'uomo come una libera scelta, senza scuse e senza aiuti, chiunque si rifugi dietro la scusa delle sue passioni, chiunque inventi un determinismo è un uomo in malafede. [...] Mi si può ribattere: e se io voglio essere in malafede? Rispondo: non c'è alcuna ragione perché non lo siate, ma io affermo che lo siete e che l'atteggiamento di stretta coerenza è l'atteggiamento della buona fede. E, inoltre, posso dare un giudizio morale”.
In che senso l'esistenzialismo è un umanesimo? “L'uomo è costantemente fuori di se stesso; solo progettandosi e perdendosi fuori di sé egli fa esistere l'uomo e, d'altra parte, solo perseguendo fini trascendenti, egli può esistere; l'uomo, essendo questo superamento e non cogliendo gli oggetti che in relazione a questo superamento, è al cuore, al centro di questo superamento. Non c'è altro universo che un universo umano, l'universo della soggettività umana. Questa connessione fra la trascendenza come costitutiva dell'uomo, – non nel senso che si dà alla parola quando si dice che Dio è trascendente, ma nel senso dell'oltrepassamento, – e la soggettività, – nel senso che l'uomo non è chiuso in se stesso, ma sempre presente in un universo umano, – è quello che noi chiamiamo umanismo esistenzialista. Umanismo, perché noi ricordiamo all'uomo che non c'è altro legislatore che lui e che proprio nell'abbandono egli deciderà di se stesso; e perché noi mostriamo che, non nel rivolgersi verso se stesso, ma sempre cercando fuori di sé uno scopo, -- che è quella liberazione, quell'attuazione particolare, -- l'uomo si realizzerà precisamente come umano”.
Sartre ammise che l'antitesi tra libertà assoluta e malafede altrettanto assoluta gli era stata suggerita dal clima di guerra, in cui non sembrava possibile altra alternativa se non quella tra “essere con” e “essere contro”. Dopo la guerra giunse l'esperienza vera, quella della società, vale a dire l'esperienza di una realtà complessa senza antitesi chiare né semplici alternative, in cui esisteva un ambiguo rapporto tra situazione data e iniziativa libera, tra scelta e condizionamento. In una intervista alla “New Left Review” del 1969, Sartre darà la seguente definizione di libertà: “La libertà è quel piccolo movimento che fa di un essere sociale completamente condizionato una persona che non si limita a ri-esteriorizzare nella sua totalità il condizionamento che ha sofferto”. Nonostante questa riduttiva definizione di libertà, Sartre non rinuncia ad alcuni temi fondamentali della sua filosofia precedente. La libertà continua a essere il centro della sua problematica. Nel 1974, sei anni prima di morire, nelle conversazioni pubblicate con il titolo Ribellarsi è giusto, afferma che l'uomo può essere alienato e reificato appunto perché è libero, perché non è una cosa, neppure una cosa particolarmente complessa. Gli uomini non coincidono mai integralmente con i loro fattori di condizionamento; se così fosse, di fatto non si potrebbe neppure parlare dei suoi condizionamenti. Un robot non potrebbe mai essere oppresso. Le alienazioni rinviano alla libertà.